INTERVISTA - L’amministratore delegato: “Siamo una vera e propria azienda, con una decina di dipendenti. Non solo tornei, organizziamo raduni, centri estivi, stage, scuole di formazione e tanto altro, gestiamo logistica, trasporti e alberghi. Ragioniamo con logiche di mercato, anche nell’invitare le società professionistiche, che partecipano ai nostri eventi perché sono di alto livello tecnico”
Grandi tornei tutte le settimane, tante professioniste in campo insieme a dilettanti in arrivo da tutta Italia, decine di partite ogni week end: ormai BeKings, la società di organizzazione eventi che fa capo a Giorgia Contu e Marco Mameli, si è imposta come una solida realtà nel panorama calcistico torinese, piemontese e anche nazionale. Tanti partecipano ai tornei marchiati con il “leoncino”, non tutti conoscono la realtà imprenditoriale di BeKings, né immaginano il lavoro che c’è dietro le quinte. Chi meglio di Giorgia Contu, amministratore delegato di BeKings, può raccontarlo?
Partiamo da te, Giorgia, con una domanda “scorretta”: cosa ci fa una donna al comando in un mondo maschile come quello del calcio?
“Io prima di tutto sono una mamma, mi sono avvicinata al mondo del calcio portando mio figlio agli allenamenti e alle partite. Ho iniziato organizzando le trasferte del gruppo di mio figlio insieme alle altre mamme, poi sono stata coinvolta nell’organizzazione di qualche evento in casa. Ho visto che mi piaceva e che ci sapevo fare, ho capito che c’erano delle potenzialità enormi, come capita spesso quando porti una mentalità imprenditoriale in un ambito gestito in modo familiare, dilettantistico. Ho analizzato i competitor, ho studiato un modello di business e, nel corso degli anni, siamo arrivati fino a BeKings”.
Che cos’è, oggi, BeKings.
“Non siamo una società sportiva, come alcuni credono, ma siamo una vera e propria azienda, con una decina di dipendenti, consulenti e tanti collaboratori. Facciamo bilanci, paghiamo stipendi e tasse, stiamo in piedi se facciamo utili: sembra strano in un mondo come quello del calcio dilettantistico ma è così, facciamo impresa. Il nostro business parte dall’organizzazione degli eventi sportivi, ma non finisce certo lì: gestiamo alberghi, ristoranti, trasporti e svago delle squadre che arrivano in Piemonte, o delle piemontesi che vanno a giocare in altre regioni, come un’agenzia di viaggi. Organizziamo raduni, centri estivi, stage, scuole di formazione e tanto altro”.
Vi siete inventati un modello di business.
“No, non ci siamo inventati niente, perché realtà come la nostra ce ne sono tante in Italia e qualcuna anche in Piemonte, ma siamo riusciti a dare un’impronta tutta nostra, riconoscibile, che si basa su due concetti fondamentali: la qualità e la completezza dell’offerta. Completezza nel senso che gestiamo le esperienze calcistiche delle squadre a 360 gradi, portiamo giocatori, staff e famiglie a vivere esperienze che vanno ben oltre il torneo giocato. Qualità dentro e fuori dal campo: di solito chi organizza grandi eventi in località marine, per esempio, predilige il divertimento all’esperienza calcistica. Noi proponiamo un’esperienza turistica di alto livello, certo, ma nel contempo organizziamo tornei di livello altrettanto alto. Se società come la Juventus partecipano quasi sempre, non è certo per fare turismo…”
Voi come scegliete le professioniste da invitare?
“La premessa è che noi invitiamo tutti, in autonomia e senza nessuna preclusione, infatti abbiamo anche avuto Juventus e Torino insieme alla Gianni Di Marzio Kup, un evento che non è frequente. Seguiamo il nostro modello di business, per cui valutiamo di volta in volta chi invitare rispetto alle categorie, alle location e alle richieste delle società partecipanti. Di nuovo, non ci inventiamo niente: è ovvio che le società che arrivano qui da altre regioni vogliano giocare con la Juventus, che è un brand internazionale. Noi cerchiamo di accontentarle. Allo stesso tempo la Juventus, che ringraziamo sempre per la fiducia che ci riconosce, ci chiede di partecipare a competizioni di alto livello tecnico, e noi cerchiamo di accontentarla. Ma lavoriamo, ripeto, con decine di società professionistiche italiane e straniere, abbiamo avuto anche il Paris Saint Germain, per fare un esempio”.
Prima parlavi di dipendenti, consulenti e collaboratori. Quanto lavoro c’è dietro un torneo?
“Tantissimo, soprattutto se tutte le settimane proponi eventi con decine di squadre, se non centinaia, spesso su più impianti sportivi, a Torino e in giro per l’Italia: in questa stagione, oltre ad Andora in Liguria, organizziamo eventi a Roma, Verona, Marina di Massa, Milano e Firenze. E anche a Valencia, in Spagna. Quello che si vede sul campo è solo la punta dell’iceberg, è molto più grande la parte che non si vede. Prima si scelgono data, location e categorie coinvolte, si fa un progetto. Il contatto con le società e gli addetti ai lavori è continuo: mandiamo noi gli inviti, spesso ci chiedono loro di partecipare, a volte organizziamo eventi ad hoc, come i test match con le professioniste. La logistica richiede un lavoro personalizzato per ogni singola squadra che arriva da fuori: a che ora arrivano, come si muovono, quando giocano, dove dormono e dove mangiano, se vogliono visitare lo Juventus Stadium o altro. Nei tornei più grandi, ospitiamo centinaia di persone in decine di alberghi…. Durante i tornei ci occupiamo di tutto: la biglietteria, gli addetti ai campi e agli spogliatoi, gli arbitri. E poi ci sono la gestione dei pranzi sul campo, del bar, dei servizi fotografici con la vendita diretta. E ancora, ogni torneo richiede una sua locandina, una pagina sul nostro sito, dove arrivano a decine le iscrizioni e le richieste di informazioni, e dove pubblichiamo i risultati in tempo reale, o quasi. Ci sono i social, Facebook e Instagram. Potrei andare avanti per ore, e aggiungo che siamo solo all’inizio, perché abbiamo tanti progetti nuovi in via di sviluppo”.
Un lavoro impressionante.
“Sì, ma anche bellissimo, perché i sorrisi dei bambini e dei ragazzi che giocano a pallone ripagano di ogni sforzo. Chi partecipa ai nostri tornei, di solito, torna: vuol dire che si è trovato bene. Fare impresa in Italia non è facile, ma può essere molto gratificante”.