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Venerdì, 03 Luglio 2020 14:00

Gianfranco Perla festeggia 20 anni di calcio in Piemonte: “Ecco la mia top 20”

Scritto da Daniele Pallante

INTERVISTA - Si parla di Vincenzo Catera, Leonardo Fortunato, Sandro De Vincenzi, Leonardo Michielon, Beppe Gibin, Mauro Foschia, Roberto Trinchero, Michele Marano, Luciano Ferramosca, Giovanna Corbo, Elsa Pellissero, Rosario Amendola, il professor Giusiano, Mauro Ponzo, Damiano Zurlo, Fabrizio Meggio, Roberto Ciravegna, Pino Bonasia e Vittorio Gilli


Era un giovane “emigrante” dalla Calabria, ora è un affermato direttore sportivo e un padre di famiglia. Venti anni vissuti a Torino hanno cambiato pelle a Gianfranco Perla, “ho anche imparato a mangiare la carne cruda”, scherza lui con una parlata che - niente da fare - tradisce ancora le origini: “Orgoglioso di essere calabrese, ma ormai questa è la mia città”.

Rangers Savonera, Gabetto (quella vera), Collegno Paradiso, Orbassano, Atletico Mirafiori e Atletico Gabetto, PiscineseRiva e oggi Pinerolo: sono le tappe di una carriera di uno dei personaggi più conosciuti e stimati del panorama calcistico regionale, di un direttore che ragiona da professionista anche in ambito dilettantistico: “questo è il mio lavoro e la mia vita”, dice senza mezzi termini.

Gianfranco, facciamo un gioco per celebrare questo particolare compleanno. Venti personaggi che hanno segnato i tuoi vent’anni a Torino, ognuno con la sua spiegazione.

“Difficilissimo, dimenticherò sicuramente qualcuno di importante…”

È un gioco. Poi avrai tempo per scusarti con tutti gli altri.

“Va bene, allora giochiamo. Il personaggio numero uno è facile, Vincenzo Catera. Sono venuto a Torino nel 2000 per collaborare con lui, al Centro Formazione Giovani Calciatori e nelle società dove abbiamo iniziato ad allenare. La mia prima esperienza è stata come suo vice alla Juniores regionale del Chisola. Devo dire grazie a Catera se mi sono avvicinato al calcio locale e, successivamente, anche a quello professionistico”.

Numero due?

“Da un estremo all’altro, il mio attuale presidente Leonardo Fortunato. Rischio di sembrare ruffiano, ma per lui parlano i risultati: oltre al campo, l’affiliazione come Scuola calcio Juventus è un colpo da maestro. È uno di quei personaggi che magari non si sa come, ma alla fine hanno sempre ragione loro”.

Andiamo avanti.

“Da tutti i presidenti che ho avuto ho imparato qualcosa. Sandro De Vincenzi era il presidente del Savonera quando allenavo la Juniores, abbiamo vinto il campionato e mi ha regalato una bottiglia di Dom Perignon: una persona semplice ma di una generosità unica. Alla Gabetto c’era quel “matto” di Leonardo Michielon, una vera forza della natura. Lui diceva sempre: “L’importante non è vincere… ma provate a perdere…” (risata, ndr). Al Collegno Paradiso ho avuto la fortuna di incrociare Beppe Gibin all’inizio del suo exploit che lo ha portato fino allo Scudetto: da lui ho imparato la precisione e la professionalità. A Orbassano ho lavorato con Mauro Foschia, un altro personaggio che con il dilettantismo non ha nulla a che fare, basta vedere la carriera che sta facendo in Federazione. Il compianto Roberto Trinchero merita un capitolo a parte, con lui abbiamo provato a salvare il marchio della Gabetto. Roby era un amico vero e sapeva fare squadra: decisioni collegiali, cene in amicizia… tutti erano protagonisti e davano il massimo. Di Michele Marano, allora presidente della PiscineseRiva, ricordo una frase: “Io sono responsabile di ciò che dico e non di quello che tu capisci”, perché bisogna essere convinti delle proprie idee e, per fare bene, bisogna lavorare con gente che parla la tua stessa lingua. Quello più estroso con cui ho lavorato è Luciano Ferramosca, vi racconto un episodio. Lui voleva tutti i ragazzi vestiti nello stesso modo, aveva fornito anche le scarpe. Ma una decina di ragazzi continuavano a venire con scarpe proprie. Una volta, due volte, dieci volte… poi è entrato negli spogliatoi, le ha messe in un sacco e le ha buttate via. A quanto siamo?”

Solo a nove, manca ancora una squadra di nomi. E finora neanche una donna…

“Rimedio subito. Giovanna Corbo, presidente del Mirafiori, è la numero uno, comanda in un mondo di maschi: ha carattere e una sola parola, ci siamo ripromessi tante volte di lavorare insieme, prima o poi ci riusciremo. Poi non posso dimenticare Elsa Pellissero, che alla Gabetto era segretaria e molto altro: anche lei un bel caratterino, ma quante cose mi ha insegnato negli anni…”

Torni spesso agli anni della Gabetto. 

“È stato un periodo per me fondamentale. Nel 2005, quando siamo ripartiti al Gerbido, avevamo 10 bambini, siamo arrivati a 350 tesserati. È in quel periodo che ho iniziato a collaborare con le società professionistiche, bastava il nome della Gabetto per aprire ogni porta, aveva un peso in tutta Italia. Da lì sono nate amicizie e collaborazioni durate nel tempo, in tanti meritano un posto nella mia top 20. Rosario Amendola, un esempio in campo e nella gestione delle partite. Il professor Giusiano, maestro della Scuola calcio, che poi ho sempre portato con me. Mauro Ponzo, il dirigente più preparato che ho incontrato. Damiano Zurlo, ora al Nichelino Hesperia, uno qualificato e serio come pochi. Fabrizio Meggio, che era di un’altra categoria come giocatore e lo è anche fuori dal campo: per lui il calcio è un hobby, forse per questo arriva sempre prima di tutti gli altri”.

Siamo a 16, ne mancano ancora quattro.

“Non c’è problema, potrei andare avanti all’infinito… Dico ancora due dirigenti che per me hanno avuto grande importanza. Roberto Ciravegna, il direttore sportivo che mi ha dato le prime opportunità, al Savonera. E Pino Bonasia, che è ancora sulla cresta dell’onda: con lui abbiamo ricostruito l’Orbassano".

Nessun giocatore?

“Uno per tutti, Vittorio Gili, che ha una storia straordinaria. Portiere del ’97, negli Allievi nazionali del Bra non giocava mai, e allora si è stufato ed è andato al Roletto Val Noce a fare l’attaccante, ha segnato 14 gol nel girone di ritorno della Juniores provinciale. L’abbiamo preso, portato nella Juniores regionale della PiscineseRiva, di nuovo in porta, e si è ritrovato l’anno dopo titolare in serie D, 28 presenze da fuoriquota alla Lavagnese. Vuol dire che la cultura del lavoro paga, e che ai ragazzi servono gli appoggi e le occasioni giuste”.

Ne manca solo uno.

“Una casella la lascio aperta, per il futuro. Perché bisogna sempre guardare avanti, mai fermarsi. Il prossimo sarà il migliore”.
 

Ultima modifica il Venerdì, 03 Luglio 2020 14:06

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