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Mercoledì, 04 Dicembre 2019 12:40

L’hotel dei sogni perduti: il calciomercato dei dilettanti all’Atlantic di Borgaro

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1 - La prima puntata della rubrica "Il centromediano metodista", a cura di Paolo Accossato, racconta un luogo che è ed è stato crocevia del calcio piemontese, dalla politica sportiva al calciomercato. Un luogo a cui oggi però si guarda (anche) con un po' di nostalgia, poiché non ospita più il calciomercato, travolto da una tecnologia che ha soppiantato il piacere di ritrovarsi a trattare e parlare di calcio dilettantistico, tra ricordi del passato e speranze per il futuro.


Se il calcio è una liturgia e la Messa cantata necessita della sua Cattedrale - ovviamente lo stadio - esistono altri spazi dove si completa e trova piena definizione il mondo del pallone. Sacrestie laiche dove si prepara la funzione, luoghi simbolo che possono apparire lontani anche anni luce dal prato un tempo unicamente erboso ed ora di verde sintetico colorato. Stanze dove l’artigiano opera, il faber costruisce il manufatto, l’orefice fonde nel crogiolo il liquido oro al fine di forgiare il prezioso manufatto. Fabbriche, fucine dove le squadre prendono forma, i tasselli del puzzle si sposano diventando immagine, il contorno si trasforma in figura. Lì spesso si decidono i destini di una stagione, lì si vince o si perde un campionato ancor prima di tirare il primo calcio dell’anno. Fino a qualche anno fa avevano le solide certezze delle mura e delle stanze dei grandi hotel milanesi prima che la società liquida in cui siamo immersi diluisse in mille rivoli quegli approcci, quelle proposte, quei dinieghi, quei sì e quelle firme che davano il via al più classico dei matrimoni con scadenza. E’ il cellulare, bellezza e allora di giorno in giorno, di anno in anno quello che ancora oggi il tifoso chiama calciomercato si è progressivamente trasferito in luoghi altri, effimeri come la solidità delle fondamenta di un contratto ed invisibili agli occhi dei più, a meno di qualche telecamera malandrina e curiosa posizionata fuori dai ristoranti alla moda. Certo, nel calcio dei professionisti esiste ancora un luogo fisico dove gli addetti ai lavori intavolano parole ma è più che altro specchietto per le allodole, depistaggio per sviare il cercatore di notizie che comunque sa che i veri affari si fanno altrove. Un cofanetto privo di monili, una scatola vuota di cioccolatini, quasi un autoinganno iconico al fine di placare i sensi di colpa per aver portato via, portato lontano gli intrighi e i sogni pallonari di piena estate che tanto piacciono al tifoso. Un tempo, neppure troppi decenni fa, anche il pallone del Piemonte aveva nel Torinese un luogo tutt’altro che simbolico dove in maniera talvolta ludica ma ben più spesso seria ci si provava a specchiare nel calcio di un certo livello. Era a Borgaro, era all’hotel Atlantic per parecchi lustri sede di quello che si chiamava il “mercatino” dei dilettanti, dove quel diminutivo un po’ declinava il calcio diverso da quello dei Baggio e dei Del Piero, un po’ però offendeva gli addetti ai lavori che si trovavano una volta alla settimana per definire passaggi di casacca dall’Eccellenza in giù. C’erano i tavolini nell’ampia sala che di anno in anno diventava sempre più stretta nella metratura e più ampia per il sempre minor numero di direttori sportivi. C’era il giocatore che si proponeva, qualcuno aveva anche il curriculum scritto a mano con le squadre in cui aveva giocato e le reti segnate in carriera. Tanto, internet non c’era ancora, i social erano di là da venire e solo la memoria e la frequentazione dei campi risultavano le vere discriminanti. Alcuni papà accompagnavano i giovani figli come se fosse il primo giorno di scuola: “Vedi, quello là è il mister a cui ti voglio presentare, adesso appena finisce proviamo ad avvicinarlo, io ho giocato con lui due anni in Promozione”. Ai tavoli ci si sedeva spesso e ai vecchi marpioni della categoria si aggiungevano i giovani giornalisti che, taccuino alla mano ma in realtà ben nascosto, settimanalmente chiedevano indiscrezioni o indirizzi. Le agende si riempivano di numeri, di giovedì in giovedì gli sguardi diffidenti si scioglievano e di quando in quando arrivava pure la soffiata giusta. E poi in un’estate del 1997 arrivò lui a scuotere il tacito torpore delle contrattazioni dei dilettanti. Il ciclone Beppe Aghemo si materializzò con quella che da lì a qualche anno sarebbe stata l’icona stessa del vulcanico presidente del Moncalieri, poi passato al Toro. La valigetta piena di denaro con cui Aghemo si presentò all’Atlantic e si portò a casa Mauro De Riggi, all’epoca uno degli attaccanti più forti del Piemonte, è una di quelle leggende che si raccontano ai nipoti, un po’ verità un po’ Keyzer Soze. All’Atlantic si andava forse più per ciacolare, per sponsorizzare un talento del settore giovanile, per dire all’ex compagno ora ds che in quella squadretta di periferia giocava uno veramente forte. Da una quindicina d’anni l’Atlantic non ospita più il calciomercato, travolto dai rapidi Whatsapp e da intermediari vari. Non avrebbe senso, dicono, con il calcio di oggi. E’ vero, non c’entrerebbe nulla. E proprio per questo è meglio così.  

Ultima modifica il Mercoledì, 04 Dicembre 2019 15:20

(Torino, 1970) Giornalista pubblicista, dal 1989 collabora con “La Stampa” nell’ambito del calcio dilettantistico. Dal 1996 è docente di materie letterarie presso il Liceo Valsalice in cui dal 2006 svolge le mansioni di Vicepreside. E’ autore del libro “All’ombra dei giganti. Storie di quartieri e di calcio giovanile nella città di Juve e Toro” (Bradipolibri).

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